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Dai luoghi, le università e le fabbriche, emergevano gli attori principali di quella rivoluzione. Da una parte gli studenti: attraverso lo studio delle moderne scienze umane, ponevano in discussione ogni assetto sociale, politico, economico, filosofico fino a quel momento considerato radicato. Dall’altra gli operai, per lo più figli di braccianti, emigrati dal Sud Italia: rivendicavano, oltre ai salari, nuovi diritti attraverso esigenze come la formazione e la libertà intellettuale. Entrambi videro un’opportunità di riscatto nella loro unione, pur senza negare aspetti conflittuali. Purtroppo il fallimento di quella rivolta è da ricercarsi nella sua incapacità di tradurre le aspirazioni in programmi concreti e in strutture organizzative in grado di realizzarli. Si è realizzata una rivolta etico-politica contro la società, piuttosto che un insieme di movimenti politici finalizzati alla realizzazione di un programma ben definito. Complice una classe politica distratta da logiche clientelari che non è stata in grado di raccogliere la sfida e produrre un nuovo patto sociale, in grado di collegare i luoghi della cultura con i luoghi della produzione.
Oggi, sulla base della nuova crisi globale, dopo la grande rivoluzione del lavoro Taylorista, compaiono nelle vicende di cronaca, i piccoli sintomi di una malattia più diffusa. Riforma della giustizia, federalismo, le vicende di Pomigliano e Mirafiori, la crisi sociale del Nord Africa, la diffusione di nuove forme di estremismo, flussi sociali in continuo movimento globale, lo sviluppo di facebook e dei social network; tutte vicende apparentemente slegate ma che trascinano tanti risvolti concatenati l’uno con l’altro. La febbre globale sale, mentre l’apertura commerciale punta ora sul Medio Oriente e sulle nuove sfide dell’Africa, e la classe dirigente legata a questo Governo resta sorda, sempre più appesantita dal torbido lasciato da un decennio in cui la Politica, con la “P” maiuscola, è stata accantonata per lasciare spazio al leaderismo dei singoli. Piccole vicende che oggi chiamano in causa tre nuovi patti sociali, in grado di favorire la nascita di nuovi sistemi di welfare.
Un patto generale (tra generi), un patto generazionale (tra generazioni) e un patto interculturale (tra etnie).
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