venerdì 31 dicembre 2010

Botti e Questioni aperte

Si chiude un lungo 2010 e si apre un inedito 2011. E’ bello potersi fermare, un attimo, tra un pranzo e l’altro, restando immersi nei propri, piccoli, affetti e riflettere. Cerchiamo parole di futuro anche in questo magma sociale, nel quale siamo immersi, nel quale proviamo a nuotare, nel quale difficilmente possiamo comprenderne le correnti e nel quale, nonostante tutto, siamo chiamati ad orientarci. Bauman ci aveva esortati: “Non andremo molto lontano senza richiamare dall’esilio idee quali il bene pubblico, la società buona, l’equità, la giustizia e così via: idee che non hanno senso se non sono condivise e coltivate con altri. E forse non riusciremo neppure a evitare che l’insicurezza sciupi la libertà individuale senza ricorrere alla politica, senza far uso del tramite costituito dall’azione politica e senza tracciare la direzione che quel tramite dovrebbe seguire”.

Ogni anno di più, entrano in crisi le nostre convinzioni e le basi su cui abbiamo fondato il nostro vivere politico, sociale, lavorativo ed economico. Attraverso un ripensamento di queste categorie possono nascere nuovi modelli di integrazione efficaci anche attraverso la partecipazione alle scelte pubbliche o la costruzione di governance. Ad entrare in crisi è stato anche l’assetto moderno del welfare state costruito sul regime di regolazione sociale fordista. Secondo le riflessioni di Lodigiani: “Le risposte messe in campo per affrontare le difficoltà crescenti sono state diversificate e sono giunte da direzioni diverse: in parte dal mercato, la dove gli attori economici hanno cercato di colmare la domanda insoddisfatta di sevizi, in specie quelli di care, in parte dal basso, la dove lo sforzo di trovare strade più efficaci per rispondere alla domanda di sicurezza, assistenza, benessere ha indotto i soggetti, le famiglie e nell’insieme gli attori della società civile a proporre in modo più o meno autonomo soluzioni alternative; in parte da un processo politico che – ancora una volta sollecitato dal basso – ha avviato un cambiamento radicale nel paradigma, gestione, visione dello stato sociale stesso”.

Pensando all’anno nel quale entriamo, sulla base di queste riflessioni, sarebbe bello poter rimettere al centro due parole chiave “territorio” e “comunità”. Sempre più si sente l’esigenza di valorizzare vecchi e nuovi luoghi del pensare e dell’agire. I vecchi paradigmi fondati sul ruolo centrale dello Stato vengono meno. Si configurano nuove esigenze territoriali in una prospettiva glocale. Aldo Bonomi è molto chiaro: “Ciò che alimenta i populismi è proprio il partire, nell’epoca dello spazio globale, da un rinserrarsi nel proprio abitare, luoghi, fabbrichette, invidie di vicinato e gossip televisivo. Occorre pensare il territorio nella globalizzazione, in dialettica e, perché no, in conflitto con i flussi perversi che lo attraversano, come spazio di una società aperta, disponibilità alla società che viene, e andare verso un altro mondo possibile ai tempi del globale. […] Solo coniugando altrimenti tracce di comunità di cura che delineano una società aperta che costruiscono welfare e mutualismo dal basso assieme agli operosi, che vanno dal locale al globale senza rinserrarsi, la sinistra, che da anni si è persa nel triangolo delle bermuda del grande Nord esposto ai venti della globalizzazione, può ritessere segni di speranza che stemperino il grumo del rancore e della paura”.

I grandi mutamenti sociali accompagnati dall’integrazione commerciale e mediatica insieme agli sviluppi economici accompagnati ai processi di globalizzazione in atto; la crisi dei sistemi di welfare accompagnati da una rilettura individualista del proprio benessere e della ridefinizione del proprio cammino di realizzazione; arrivando alle grandi domande collettive espresse dagli agglomerati più silenziosi delle nostre città, evidenziati dall'instacabile questione sociale posta anche dalla riflessione di numerose autorità religiose; ecco, questi cambiamenti ci invitano ad un passo di maturazione necessario per uscire insieme da questa crisi che dimostra sempre più le sue carenze valoriali più che economiche.

Un augurio alla finanza perché riscopra nuovi processi basati sull’etica e sulla trasparenza, un augurio alla politica che possa riscoprire il piacere del coinvolgimento dei movimenti sociali e delle categorie nella costruzione delle riforme necessarie, un augurio a tutti perché si possa far emergere nei luoghi dell’elaborazione le esigenze e le paure più nascoste, troppo spesso messe a tacere da una politica demagogica e populista.

Un buon 2011, ovunque voi siate.

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