sabato 16 ottobre 2010

Nuovi dubbi, nuove riflessioni

Vaclav Havel, ex presidente della Repubblica Ceca, aveva scritto con grande chiarezza: “Oggi più che mai nella storia dell’umanità, tutto è interdipendente. Pertanto i valori e le prospettive della civilizzazione contemporanea sono dovunque sottoposte a forti tensioni […] il futuro dell’Europa si decide nelle sofferenze di Sarajevo […] e nella povertà disperata del Bangladesh […]. In teoria tutti lo sanno. Ma come si traduce questa conoscenza nelle pratiche politiche? […] La gente oggi sa che può essere salvata solo da un nuovo tipo di responsabilità globale”. Questa definizione costruisce perfettamente il quadro di quel processo conosciuto volgarmente con il termine di globalizzazione. Una globalizzazione che non riguarda solo il ruolo dei mercati ma anche di tutti gli aspetti sociali e ci pone di fronte ad un quesito essenziale, lo stesso che si pone Alfredo Reichlin nel “Midollo del leone”: Quale è il ruolo della politica, e in particolare della sinistra, nella costruzione di un rapporto con la società civile? A margine della prima lezione del Seminario di Cultura politica presso la Casa della Cultura, tenuta dal filosofo Salvatore Veca ho provato a comporre un mero elenco di concetti attorno a cui è ruotata l’analisi e una prima risposta alla domanda precedente: partecipazione, educazione, lavoro, rispetto, libertà, tolleranza e coesione. Concetti complessi sui quali si potrebbe parlare a lungo (e non è certo mia intenzione farlo in questa sede). Molti i richiami, naturalmente allo stesso Norberto Bobbio, nel suo “Destra e Sinistra” rispetto al concetto chiave dell’eguaglianza espresso dall’Articolo 3 della Costituzione Italiana e ai conseguenti modi di attenuare le disuguaglianze. Una battaglia essenziale quella per l’uguaglianza che si affianca a quella della distribuzione dei diritti e dei doveri. Da Pomigliano D’Arco alla paura degli inquilini delle case popolari di una città come Milano. Un partito come il PD vuole provare ad inserirsi in questo processo senza invadere il campo della raccolta della domanda politica dei diversi gruppi sociali. Per questo sono stato molto soddisfatto del comunicato di Stefano Fassina sulla non adesione del PD allo sciopero di FIOM-CGIL a cui però abbiamo dimostrato la nostra presenza:

Un partito non è il contenitore di pur legittimi interessi parziali e di pur valide rivendicazioni di movimenti tematici. Un partito è declinazione autonoma, sintesi alta, di interessi parziali e rivendicazioni tematiche intorno ad una visione orientata all’interesse generale. Aderire alla piattaforma di altri vorrebbe dire rischiare di smarrire […] l’insostituibile funzione etico-politica distintiva del partito. In altri termini, indebolire la funzione di proposta generale nella rincorsa di domande di rappresentanza parziali. Aderire no, ma partecipare si. Perché i movimenti non violenti e democratici sono linfa vitale per un partito di popolo, per una forza radicata nella società. Tanto più lo è per il Pd, il partito fondato sul lavoro, una mobilitazione di lavoratori e lavoratrici colpiti dalla crisi e dalle politiche classiste del Governo Berlusconi. Certo, nel Pd vi sono sensibilità e valutazioni diverse. È normale in un partito impegnato nell’ardua sfida di consolidare una cultura politica condivisa, in una fase segnata da profonde discontinuità economiche e sociali. Una fase aggravata da una pericolosissima divisione sindacale che soltanto un riformismo subalterno o a vocazione minoritaria può acconciarsi a risolvere seguendo gli uni piuttosto che gli altri”.

Questo è il PD che non ha paura di misurarsi con le sfide glocali imposte, contrariamente a quanti affermano che avremmo dovuto aderire a questa come ad altre cause continuo a sostenere l’importanza della nostra presenza nel collegare mondi altrimenti distanti e slegati nel loro agire piuttosto che limitarsi a rappresentare la parte di una parte.

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