venerdì 31 dicembre 2010

Botti e Questioni aperte

Si chiude un lungo 2010 e si apre un inedito 2011. E’ bello potersi fermare, un attimo, tra un pranzo e l’altro, restando immersi nei propri, piccoli, affetti e riflettere. Cerchiamo parole di futuro anche in questo magma sociale, nel quale siamo immersi, nel quale proviamo a nuotare, nel quale difficilmente possiamo comprenderne le correnti e nel quale, nonostante tutto, siamo chiamati ad orientarci. Bauman ci aveva esortati: “Non andremo molto lontano senza richiamare dall’esilio idee quali il bene pubblico, la società buona, l’equità, la giustizia e così via: idee che non hanno senso se non sono condivise e coltivate con altri. E forse non riusciremo neppure a evitare che l’insicurezza sciupi la libertà individuale senza ricorrere alla politica, senza far uso del tramite costituito dall’azione politica e senza tracciare la direzione che quel tramite dovrebbe seguire”.

Ogni anno di più, entrano in crisi le nostre convinzioni e le basi su cui abbiamo fondato il nostro vivere politico, sociale, lavorativo ed economico. Attraverso un ripensamento di queste categorie possono nascere nuovi modelli di integrazione efficaci anche attraverso la partecipazione alle scelte pubbliche o la costruzione di governance. Ad entrare in crisi è stato anche l’assetto moderno del welfare state costruito sul regime di regolazione sociale fordista. Secondo le riflessioni di Lodigiani: “Le risposte messe in campo per affrontare le difficoltà crescenti sono state diversificate e sono giunte da direzioni diverse: in parte dal mercato, la dove gli attori economici hanno cercato di colmare la domanda insoddisfatta di sevizi, in specie quelli di care, in parte dal basso, la dove lo sforzo di trovare strade più efficaci per rispondere alla domanda di sicurezza, assistenza, benessere ha indotto i soggetti, le famiglie e nell’insieme gli attori della società civile a proporre in modo più o meno autonomo soluzioni alternative; in parte da un processo politico che – ancora una volta sollecitato dal basso – ha avviato un cambiamento radicale nel paradigma, gestione, visione dello stato sociale stesso”.

Pensando all’anno nel quale entriamo, sulla base di queste riflessioni, sarebbe bello poter rimettere al centro due parole chiave “territorio” e “comunità”. Sempre più si sente l’esigenza di valorizzare vecchi e nuovi luoghi del pensare e dell’agire. I vecchi paradigmi fondati sul ruolo centrale dello Stato vengono meno. Si configurano nuove esigenze territoriali in una prospettiva glocale. Aldo Bonomi è molto chiaro: “Ciò che alimenta i populismi è proprio il partire, nell’epoca dello spazio globale, da un rinserrarsi nel proprio abitare, luoghi, fabbrichette, invidie di vicinato e gossip televisivo. Occorre pensare il territorio nella globalizzazione, in dialettica e, perché no, in conflitto con i flussi perversi che lo attraversano, come spazio di una società aperta, disponibilità alla società che viene, e andare verso un altro mondo possibile ai tempi del globale. […] Solo coniugando altrimenti tracce di comunità di cura che delineano una società aperta che costruiscono welfare e mutualismo dal basso assieme agli operosi, che vanno dal locale al globale senza rinserrarsi, la sinistra, che da anni si è persa nel triangolo delle bermuda del grande Nord esposto ai venti della globalizzazione, può ritessere segni di speranza che stemperino il grumo del rancore e della paura”.

I grandi mutamenti sociali accompagnati dall’integrazione commerciale e mediatica insieme agli sviluppi economici accompagnati ai processi di globalizzazione in atto; la crisi dei sistemi di welfare accompagnati da una rilettura individualista del proprio benessere e della ridefinizione del proprio cammino di realizzazione; arrivando alle grandi domande collettive espresse dagli agglomerati più silenziosi delle nostre città, evidenziati dall'instacabile questione sociale posta anche dalla riflessione di numerose autorità religiose; ecco, questi cambiamenti ci invitano ad un passo di maturazione necessario per uscire insieme da questa crisi che dimostra sempre più le sue carenze valoriali più che economiche.

Un augurio alla finanza perché riscopra nuovi processi basati sull’etica e sulla trasparenza, un augurio alla politica che possa riscoprire il piacere del coinvolgimento dei movimenti sociali e delle categorie nella costruzione delle riforme necessarie, un augurio a tutti perché si possa far emergere nei luoghi dell’elaborazione le esigenze e le paure più nascoste, troppo spesso messe a tacere da una politica demagogica e populista.

Un buon 2011, ovunque voi siate.

venerdì 17 dicembre 2010

Lavoro, Economia, Servizi, Ambiente

Attraverso facebook ho pubblicato alcuni passaggi dal discorso alla città del Cardinale Dionigi Tettamanzi. Ho voluto racchiudere in qualche frase questo grande appello di futuro solidale rivolto ai nostri amministratori, a partire dal quale dovremmo essere in grado di strutturare domande e risposte sulle questioni inedite e cruciali per la nostra città. Andare al di la del voto che ci attende e riscoprire la lungimiranza dell'innovazione, a partire dal tessuto sociale e solidale esistente. Un utile spunto di riflessione per il Partito Democratico affinché, attraverso le sedi dell'elaborazione, possa essere motore per uscire dal clima di sfiducia e annichilimento in cui siamo immersi.

Secondo il Sociologo Mauro Magatti, questo appello, mostra in modo evidente, la mancanza di un canale di rappresentazione mediatica e politica adeguata per le grandi risorse sociali di questa città. Non solo, queste presenze, bloccate, non riescono nemmeno ad esprimere un progetto di futuro. Una buona parte di tessuto sociale che guarda al Mondo e resta a Milano. Invisibile e silenzioso. Ripensare al sistema di welfare nel nuovo contesto sociale e per farlo bisogna essere in grado di adattare le istituzioni ai nuovi contesti. La forza di Milano è il suo dono al volontario, all’integrazione, alla coesione, alla mediazione delle famiglie. Un tessuto di fondamentale importanza per la nostra città. Bisogna essere molto chiari in ciò che si chiede e nello stesso tempo rassicurare rispetto a ciò che si è in grado di offrire per costruire patti e alleanze, legami sociali mancanti.

Già Aldo Aniasi affrontava questi aspetti della vita milanese quando parlava della Milano con “Il cuore in mano” (col coeur in man). “Questa città generosa, umanitaria “socialista” nel senso filosofico del termine, esiste ancora in modo notevole. […] Probabilmente questo è il futuro della solidarietà tra chi ha sofferto e soffre nei confronti di chi non soffre più. […] Milano è una città che sa amalgamare e trasformare la gente delle più disparate provenienze anche sul piano dei sentimenti."

Restituire credibilità al Partito Democratico milanese significa anche saperlo caratterizzare sul piano della proposta e della valorizzazione di esperienze concrete, le quali già provano, almeno in parte a rispondere, con lungimiranza, alle nuove domande. Queste domande riguardano principalmente quattro piani: il piano del lavoro, dell’economia, dei servizi e dell’ambiente. Esse si intrecciano e si influenzano. Il tema scelto per l’Expo traccia il solco nel quale attivare questi settori “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Le esperienze sociali in grado di costruire una città sostenibile, in grado di rilanciarsi sul panorama europeo sono molteplici. Esempi come: il Parco Nord, il Centro di Forestazione Urbano, l’orto botanico di Brera rappresentano quei sistemi in grado di dare risultati positivi tangibili. Le esperienze dei Gruppi di acquisto solidale, la promozione dell’agricoltura di prossimità, la valorizzazione del patrimonio agro-rurale presente, nuovi modelli di didattica all’aria aperta, la creazione di centri di piccola foresteria per studenti e studiosi basterebbe di per se a stravolgere la crisi che ha toccato il mondo del lavoro.

Infine vi riporto alcuni stralci simbolici estratti dal discorso di cui vi parlavo all’inizio:

"Incoraggiamo e promuoviamo chi è generoso, chi incrementa realmente lo sviluppo, chi crea lavoro, chi vive responsabilmente il proprio servizio, chi ricerca il bene comune. Sosteniamo e facciamo conoscere questo patrimonio di bontà, di giustizia, di operosità presente nel nostro tessuto cittadino! […]

La città è fatta di persone oltre che di case, è collegata da relazioni prima che da strade, illuminata dall’energia della solidarietà prima che dai cavi dell’elettricità. Ora, mentre per l’amministrazione urbanistica si impiegano strumenti quali il “Piano regolatore” o il “Piano di governo del territorio”, mi domando se non sia opportuno realizzare anche una “mappa dei cantieri sociali”: quelli da aprire, quelli in cui continuare a lavorare, quelli da chiudere. Con un simile osservatorio si guadagnerebbe un punto di vista nuovo su Milano, per pensare non solo ai grandi cantieri edili ma anche a questi immensi “cantieri sociali”. Cantieri laboriosi e creativi che possano orientare le forze e gli spiriti per superare la frammentazione sociale e spazzare via quel sentimento di diffusa depressione che spesso si respira in Città. […]


Argomenti portanti del dibattito politico e della campagna elettorale da tempo avviata non siano solo questioni strumentali alla contrapposizione e alla ricerca facile del consenso, bensì i temi concreti e realistici che caratterizzano la vita quotidiana delle persone, di tutte le persone, che vivono in Città. E non si parli di Milano solo evidenziandone i problemi: mostriamo le innumerevoli risorse, anzitutto umane e sociali, di cui essa dispone e che chiedono di essere interpellate e spese al meglio.
Cari amministratori, siate responsabili, esemplari, liberi, obbedienti alla retta coscienza, all’istanza fondamentale del bene comune nel governare e nel proporvi agli elettori. […]

Nel 2015, sarà il momento dell’Expo, che da poche settimane ha ricevuto le conferme necessarie per la sua celebrazione. La Città consideri questi eventi quali occasioni per progettare il suo domani: non si fermi guardare anche oltre, per costruire il futuro. fin dove giungono questi appuntamenti, ma sappia guardare anche oltre, per costruire il futuro. […]

Essere amministratore non è mai impresa solitaria ma azione profondamente sociale, che si colloca entro un progetto ampio, con uno sguardo allargato a tutta la Città e con il coinvolgimento di tutte le persone e le realtà che hanno a cuore Milano. Fare della nostra Città un luogo coeso, solidale, comunicativo, aperto a tutti, dove il terreno è liberato dalle aridità, dai sassi e dai rovi che ne soffocano la fertilità, dove poter realizzare i progetti di vita più veri credo sia non un’utopia, ma un’impresa possibile e affascinante.

Con la collaborazione di tutti, però. Nessuno escluso."

Ecco il link al testo completo: http://www.chiesadimilano.it/or/ADMI/pagine/00_PORTALE/2010/Discorso_alla_Citt%C3%A0_2010.pdf

venerdì 3 dicembre 2010

Il PD che sceglie

Il PD vive se appare come risposta alla crisi perché è la sintesi più solida tra forze e bisogni che ripartono dall’interesse generale. […] Allargare la partecipazione e recuperare il primato culturale politico di una forza, la nostra, sorretta da una visione del paese e della democrazia. Accettare questa sfida vuol dire riaccendere la speranza. E vuol dire misurare sulle scelte l’unità di un partito che dispone di una guida seria e di un compito da assolvere. Ora.
Gianni Cuperlo

Destra, sinistra: queste antiche parole vanno ripensate in rapporto alla cose. Siamo di fronte alla crisi del sistema politico costruito dopo il collasso della Prima Repubblica. E questa crisi è tanto più grave e complessa perché si accompagna a un vero e proprio problema di “rifondazione” della politica, e cioè della libertà degli uomini di decidere del loro destino.[…] E’ su cose come queste che si ridefiniscono le ragioni di un grande partito democratico. Si invoca retoricamente il “nuovo”, ma il nuovo è questo. E’ la natura inedita della crisi italiana. E’ la necessità di riprendere finalmente il proprio posto nel cuore del conflitto e delle contraddizioni del mondo moderno”.
Alfredo Reichlin

"Il PD [...] non è un voto di opinione, ma anch'esso, proprio come quello del Pdl, un blocco sociale e culturale, un impasto di tradizioni, valori e interessi distribuiti a livello nazionale e, qui è l'originalità, fondati sull'autonomia della politica, non sul suo discredito o la sua subalternità".
Miguel Gotor


Pur avendo consultato una vasta biblioteca non ho trovato nulla di meglio per esprimere il senso storico del nostro cammino politico. Concentriamoci e confrontiamoci su questo ruolo. Abbiamo strettamente a che fare con le trasformazioni in atto nell’economia e nella società. E sulla base di queste costruire, insieme, missioni e valori. Indicare cioè, quale è l’obiettivo da raggiungere e come quell’obiettivo deve essere raggiunto. L’una non reggerebbe senza l’altra.

Siamo pronti a confrontarci. La meta è fissata. Non resta che andare in agenzia e programmare il viaggio. Questo è il nostro modo di interpretare il nostro senso storico irrinunciabile. Sono solo titoli ma se letti lentamente, uno alla volta, possono ridare senso a tutto. Anche a noi stessi. Provate.


- Autorità di coordinamento per l’emergenza del lavoro.

- Da agricoltura periurbana ad agricoltura di prossimità.

- Da attrezzature pesanti ad attrezzature non invasive.

- Distretti Equo Solidali e Gruppi di Acquisto Solidali.

- Rete cascine: cultura, ricettività e foresteria.

- Da acqua come ostacolo ad acqua come risorsa.

- Ciclabili e trasporto sostenibile, tra lavoro, cultura e turismo.

- Centri di Aggregazione Giovanili.

- Da Tessuti Urbani Consolidati a Nuclei di Antica Formazione.


Direte ora: Partiamo?
Dico io: Siamo già partiti!

Occorre un atto di coraggio.

mercoledì 24 novembre 2010

Domande inedite

I moderni sociologi leggono la situazione di crisi attuale caratterizzata da un maggiore grado di pluralismo (la cui degenerazione può essere verificata nel personalismo dell’azione politica) e di libertà (osservabile nella proliferazione incontrollata di forme di populismo e di qualunquismo che sfruttano gli istinti meno nobili che attraversano le opinioni pubbliche contemporanee). Il sintomo evidente è la perdita di ogni riferimento collettivo. Questo processo si verifica in uno scollamento tra istituzioni ed esperienza soggettiva indebolendo un comune ancoramento culturale. E’ la base della crisi sociale in atto.

Ora, non solo la creazione della propria identità avviene sempre più slegata dal contesto territoriale in cui si vive (la sensazione è che le decisioni vengano prese altrove; in luoghi – non luoghi nuovi rispetto al tradizione sistema istituzionale. In un certo senso essi scavalcano anche il ruolo stesso di stato weberiano, che diventa minuscolo). La questione locale viene percepita come una questione ormai sorpassata, con scarso interesse, la dimostrazione è nella diffusione sempre maggiore di tecnologie di comunicazione legate alla rete che spostano lo spazio da localizzato a globalizzato (naturale evoluzione dell’ampio concetto di globalizzazione).

Si realizza il “diritto alla recinzione” che, come scrive Zanini, “consente di tirarsi fuori da un territorio, di isolarsi rispetto ad un tutto, segregandosi in un proprio spazio idealizzato. […] In altre parole, tirarsi fuori da una comunità, intesa come unità, sia essa la nazione o la città per costruire un’altra comunità che la sostituisca, rimanendo sospesa nella regola”. Ciò alimenta il desiderio di auto segregazione, in un delirio di autoreferenzialità, che uccide il sociale prima ancora che il politico. Ecco quindi la nascita della mancanza di un'ancora culturale e territoriale a cui fare riferimento. Il cittadino si trova nella condizione di non leggere più il suo territorio in quanto entità reale ma interpretare quel territorio contenuto nella globalità mediatica e telematica, percepito quindi attraverso un filtro, un intermediario.

In un così complesso quadro di riferimento sociale, il cittadino, sballottato all’interno di un bombardamento di input diviene incapace di concepire un pensiero realmente autonomo e per difendersi sostiene un processo conosciuto come “categorizzazione”. I bambini, non possedendo una vasta gamma concettuale di interpretazione mettono in pratica gli stereotipi, gli adulti, confusi dagli elementi precedentemente analizzati, attuano la categorizzazione. Quanto mai dannosa alla formazione di un corretto pensiero politico-sociale, la categorizzazione dei processi entro determinati schemi, a volte dettati dalla propaganda, a sua volta derivata da regole iniziali confuse sugli obiettivi.

I programmi dei partiti, anche se scritti con cura e attenzione nei confronti delle parti sociali saltano, salta il loro significato e la loro presa sulle persone che si affidano, ancora una volta di più a complesse categorizzazioni di pezzi di realtà, in grado di creare un surrogato di presente nella quale manca una reale percezione del futuro.

Nel frattempo in cui il cittadino si smarrisce e categorizza sul piano nazionale avvengono fenomeni nuovi. Si forma ansia per un governo nazionale quotidianamente in bilico che ci sommerge con dichiarazioni a volte in contrasto tra loro. Si forma sfiducia verso il modello istituzione basato sulla rappresentanza legato alla crisi di tutti i settori sociali in atto. Si forma smarrimento dovuto alla nascita di nuove formazioni politiche e nuove alleanze. In questo nuovo scenario avviene una ulteriore, nuova, crisi, quella degli intermediari. Il giornalismo non si dimostra più all’altezza di rappresentare e interpretare la realtà in corso come avveniva nel passato. Manca la capacità di sintesi e sempre più i media incollano tra loro dieci secondi di Bersani, cinque di Di Pietro e venti di Capezzone, estrapolando, a seconda del messaggio che vuole essere comunicato il pensiero più appetibile. Sarà poi compito dei cittadini interpretarlo ed inserirlo nelle proprie categorizzazioni. Ulrich Beck scrive: “La politica non è più fatta dal sistema politico ma dalla scienza, dall’economia, dalla tecnologia”. Oggi si ritorna alle origini di un nuovo sistema politico, tutto da scrivere. Questo ci permette di comprendere come anche i partiti, in quanto intermediari, vengono travolti dalla crisi in corso.

Ecco che anche all’interno del PD si formano idee diverse sulla sua collocazione rispetto allo scacchiere politico sia locale, sia nazionale. Proliferano i protagonismi, che interpretano, ognuno secondo il proprio modello di riferimento la crisi in atto e ognuno, prova a dare una soluzione. In questo si collocano le visioni contrastanti emerse in questi mesi, da Civati a Chiamparino, da Garavaglia a Penati. Terzo polo si, terzo polo no. Lista civica si, lista civica no. Cattolici si, cattolici no. In questo si inserisce quel dibattito sul futuro del Partito Democratico all’interno del quale non mi dilungo ora poiché voglio affidarlo al futuro (questo è lo spirito del Post).

Questa evoluzione ci mostra una nuova tappa dell'evoluzione della "forma-partito" teorizzata dai politologi. Le pressioni istituzionali sono sempre più affidate agli agglomerati della società civile e alle sue forme di comunicazione e mediazione. Macchine come i partiti, se si dimostrano incapaci di modificare la loro azione all’interno di un contesto di rinnovamento culturale, rispetto ad un sentire comune, finiscono quindi per assomigliare a lenti carrozzoni, in una realtà rapida dove vince la capacità di dare voce a nuove categorie sociali. Sempre più i nuovi agglomerati incidono, propongono, aggregano superando completamente la macchina partito che viene esclusa trasformandosi in una sorta di corpo estraneo, da rigettare. In questo contesto è importante non danneggiare i protagonisti di queste primarie per quello che potranno rappresentare in questa campagna di coinvolgimento.

ll PD è nato per cercare risposte a domande in parte inedite e per inserirsi e risanare quei rapporti sociali lacerati da anni di berlusconismo. Ora, tanto più deboli e precarie sono le fondamenta della nostra Democrazia tanto più siamo responsabilizzati a costruire un grande partito rivolto alle nuove, silenziose, categorie sociali per abbattere i luoghi comuni e gli schematismi del ragionamento collettivo e ridare voce ai, sempre più distanti, agglomerati sociali. Lo dobbiamo fare nella duplice direzione a cui la politica ci chiama ad agire: fare rete e restituire un obiettivo comune. Guardiamo quindi a una Milano e a un’Italia nuova, solidale, condivisa, comprendente, inclusiva e partecipata. Guardiamola nel solco del Globalocalismo come antidoto allo smarrimento sopra analizzato.

mercoledì 3 novembre 2010

Chi semina vento...

Sono preoccupato. In modo particolare per i ragazzi della mia generazione. A loro dedico questa riflessione. Per loro che da questa situazione possono solo maturare altro disprezzo verso la politica. Disprezzo sia verso la “Policy”, ovvero verso il problema del governo, cioè di quella costellazione di decisioni riferite ai problemi della comunità, sia verso la “Politics” ovvero verso il problema legato all’”architettura” del potere istituzionale e al suo funzionamento. Entrambe messe a dura prova dalla caparbietà di alcuni nostri governanti che non riescono a trasmettere ad una generazione evidentemente in crisi (non solo economica), affamata di futuro, nemmeno il senso del domani chiudendolo ancora all’interno di categorie e slogan appartenenti al passato.

Ha ragione Ulirich Beck quando scrive, a proposito dei giovani, spesso erroneamente accusati di essere indifferenti alla politica, che essi: “odiano i formalismi delle organizzazioni e il loro modello di impegno costruito sull’imperativo del sacrificio della singola individualità […]. Non abbiamo a che fare con una caduta dei valori, ma con un conflitto tra valori, tra due concezioni diverse per stile e per contenuto, della società, della democrazia e della politica”. L’individuo contemporaneo, per la sua naturale caratteristica di ribellione legata alla sfiducia, cerca quindi di impegnarsi “laddove è possibile rimanere soggetti della propria azione”.

La sfida con cui il PD è nato è, tra le tante, quella di riuscire a realizzare un passaggio chiaro all’interno di quelle “due concezioni della società” contenute in Beck e che porta al disprezzo verso forme di democrazia come i partiti. Ovvero a partire da quella che Piaget, già nel 1957, chiamava “Morale eteronoma” (caratterizzata dal fatto che le nozioni di giusto e ingiusto si identificano con le nozioni di dovere e disobbedienza) ad una “morale autonoma” (basata sulle capacità personali di giudizio e di valutazione dei contesti relazionali e situazionali) per dirla con Honneth “stimare qualcuno come persona consiste in primo luogo nel fatto che la stima non sta nell’applicazione di norme universali ma nella valutazione differenziata di capacità e qualità concrete”.

Magatti infatti ci ricorda che “è necessario riportare l’istanza individualistica, che è alla base della crisi della modernità societaria, verso una prospettiva maggiormente capace di riconoscere il significato delle istituzioni sociali. La sfida è quella di riuscire a non disattendere la richiesta di legare ad un livello più alto la propria vicenda personale con quanto accade attorno, richiesta che costituisce uno dei nodi più cruciali e problematici della vita sociale contemporanea.

Non sono parole semplici, il carico affidato alla politica è enorme ed è innanzitutto quello di riuscire a leggere la vita sociale con nuove categorie dinamiche. Solo in questo modo questa politica potrà tornare a parlare di futuro ai giovani.

Mentre c’è bisogno di tutto questo assistiamo, ogni giorno di più, alla caduta di un governo posto sotto assedio dal suo stesso presidente incapace persino di esprimersi con rispetto verso il Paese. Un grande Vittorio Foa, rivolgendosi ai giovani diceva che “il degrado della politica e delle sue parole sta proprio nell’agire pensando di essere soli e nel pensare solo a se stessi”. Abbiamo lentamente assistito alla scomparsa dell’interlocutore e la politica è oggi il patto che lo stesso Foa definiva “tra governi e governanti”.

Ecco l’altra sfida con cui questo PD si consolida nel Paese, quella di rompere questo patto e restituire la collettività all’individuo, anche nella politica. Di ricostruire cioè quel tessuto basato sul legame con l’altro sociale, provando a superare l’odio di Beck verso le istituzioni non lasciandolo sulle spalle della società civile.

Chi semina vento raccoglie tempesta, cita la Bibbia nel libro di Osea, 8,7. Neruda lo scriveva nella poesia “Spiego alcune cose” di cui vi ho riportato i versi. Essi rappresentano il pensiero di Osea e rendono il clima politico di questi giorni, per un giovane, insicuro e impaurito.

[…]
Vi racconterò tutto ciò che mi accade.
Io vivevo in un quartiere
di Madrid, con campane,
con orologi e con alberi.

Di là si vedeva
il volto secco di Castiglia,
simile ad un oceano di cuoio.

La mia casa era detta
la casa dei fiori, perché da tutti gli angoli
scoppiavano gerani:
era una bella casa,
con tanti cani e bambini.

Raul, Ti ricordi?
Ti ricordi, Rafael?
Federico, ti ricordi,
ora sotto la terra,
ti ricordi della mia casa con balconi
dove la luce di giugno soffocava di fiori la tua bocca?
Fratello, fratello!

Tutto
era alte voci, sale delle merci,
mucchi di pane palpitante,
mercati del mio rione di Argüelles, con la sua statua
come un pallido calamaio tra i merluzzi:
l'olio colava sui cucchiai,
un profondo battito
di mani e piedi riempiva le vie,
metri, litri, essenza
sottile della vita,
pesce ammassato,
intreccio di tetti con freddo sole
nel quale la saetta s'affatica,
delirante e fino avorio delle patate,
pomodori ripetuti fino al mare.

E infine una mattina tutto divampava
e una mattina i fuochi
uscivano dalla terra
divorando persone,
e da allora fuoco,
da allora spari,
e da allora sangue.
Banditi con aeroplani e con mori,
banditi con anelli e duchesse,
banditi con neri frati in atto di benedire
venivano dal cielo a uccidere bambini,
e per le strade il sangue dei bambini
correva semplice, come sangue di bambini.

Sciacalli che lo stesso sciacallo schiferebbe,
pietre che il cardo secco morderebbe sputando,
vipere che le vipere odierebbero!

Davanti a voi ho visto il sangue
di Spagna sollevarsi
per affogarvi in una sola ondata
D’orgoglio e di coltelli!

Generali
traditori:
guardate la mia casa morta,
guardata la Spagna lacerata:
eppure, da ogni casa morta sgorga un metallo di fuoco
anzichè fiori,
eppure da ogni cavità della Spagna
spunta la Spagna,
da ogni bambino morto sprizza un fucile con occhi,
da ogni delitto nascono proiettili
che un giorno troveranno il punto
del vostro cuore.

Voi mi chiederete: perché la tua poesia
non ci parla del sogno, delle foglie,
dei grandi vulcani del tuo paese natio?

Venite a vedere il sangue per le strade,
venite a vedere
il sangue per le strade,
venite a vedere il sangue
per le strade!”

Sono in molti a chiedere ai partiti delle opposizioni “perché non parlate di sogni, di foglie, di grandi vulcani o del paese natio?”. Venite a vedere i danni di questo governo nel cuore delle giovani generazioni. Abbiamo bisogno di un grande sforzo collettivo per tornare a parlare a loro, con loro, di loro, per loro. Ecco il nostro lavoro, ecco il lavoro di un grande partito riformista.

sabato 23 ottobre 2010

Una vita... per diventar giovani

Dai “quaderni” di Gramsci: “Una generazione che deprime la generazione precedente, che non riesce a vederne le grandezze e il significato necessario, non può che essere meschina e senza fiducia in se stessa […]. Una generazione vitale e forte, che si propone di lavorare e di affermarsi, tende invece a sopravalutare la generazione precedente perché la propria energia le dà la sicurezza che andrà anche più oltre. […] Nella svalutazione del passato è implicita una giustificazione della nullità del presente: chissà cosa avremmo fatto noi se i nostri genitori avessero fatto questo e quest’altro, ma essi non l’hanno fatto e, quindi, noi non abbiamo fatto nulla di più. Una soffitta su un pianterreno è meno soffitta di quella sul decimo o trentesimo piano? Una generazione che sa far solo soffitte si lamenta che i predecessori non abbiano già costruito palazzi di dieci o trenta piani. Dite di esser capaci di costruire cattedrali ma non siete capaci che di costruire soffitte”. Queste parole, oltre ad essere contenute nel “Midollo del Leone” di Reichlin, contengono ancora oggi un forte elemento attuale, vengono infatti riprese ad ogni “questione generazionale”. (basta cercare su Google per farsene un’idea).

Senza entrare nel merito dell’attualità, anche se i richiami vi saranno venuti in mente, il dibattito ruota sempre attorno ai punti di vista dell’intendere il ruolo di giovane in riferimento alla realtà sociale o politica nella quale si agisce. Quanto descritto da Gramsci non è che uno dei modi di intendere lo sviluppo della complessità giovanile ed indica quello che i moderni sociologi collocano nell’ambito della ribellione.

Lo stesso pensiero di ribellione è contenuto anche in opere cinematografiche come “Heimat 2, cronaca di una giovinezza” dove viene pronunciata la seguente battuta:

“Dimentichiamo i nostri padri. Noi siamo il parto di noi stessi. Dunque siamo dei!”

Battuta dalla quale emerge il senso di rivolta, la stessa contenuta nell’avvertimento di Gramsci, di chi si oppone agli dei e ruba il fuoco della conoscenza da donare agli uomini. (Vi viene in mente qualcuno?) Anche in questo caso sarebbe complesso analizzare il mito di Prometeo, tanto più dovremmo distinguere il Prometeo di Platone dal Prometeo di Eschilo ma non stiamo facendo altro che tracciare i tratti di un modo di essere o di percepire il giovane.

Che dire allora della poesia di Majakovsky:
“Battete in piazza il calpestio delle rivolte!
In alto catene di teste superbe!
Con la piena di un nuovo diluvio
Laveremo la città dei mondi”

E’ la forza del giovane che non si accontenta di stare al passo con il suo tempo e si pone nell’incertezza se collocarsi nel passato o nel futuro (un futuro però scritto dalle regole dettate dal passato). Questi giovani vogliono vivere e costruirsi un nuovo futuro. Esattamente come nel film: “Momenti di Gloria” il giovane grida: “Io porto l’avvenire con me!”. Un mix tra generosità, verso la propria generazione; vocazione al cambiamento e voglia di futuro.

La politica attinge anche da questi atteggiamenti. L’Italia è certamente un Paese complesso ma a differenza di come viene confusamente vissuto, il compito di un Partito non è quello di aggiungere complessità alla complessità ma di attutire le luci della città per mostrare la via lattea della realtà sociale. (aggiungo nei modi e nei luoghi giusti, quasi a voler richiamare anche Aristotele).

Questo giovane tende ad esaltare la sua visionaria ostinazione, lo spinge a leggere la realtà con altri occhi suscitando l'ilarità delle persone che assistono alle sue folli gesta. Non è un concetto nuovo, Miguel de Cervantes ne ha parlato nel suo Don Chiscotte. Un personaggio che sottolinea l'inadeguatezza degli intellettuali della sua epoca e prova a fronteggiare a modo suo i tempi nuovi. Eppure come scrisse Ernest Bloch, Don Chiscotte prova solo a fronteggiare i limiti umani come prova a fare l’Ulisse. Eppure Don Chiscotte non vuole limitarsi ad andare “oltre” prova a realizzare il suo mondo visionario per questo il giovane Don Chisciotte cerca figure da rendere reali e demonizza fino all’estremo gli elementi più naturali della propria vita. Il loro motto resta quello dello scrittore Coupland, quello della “Generazione X”: “avere paura di morire a trent’anni ed essere sepolti a ottanta”.

In questo senso vorrei quindi riprendere, seppure in piccola parte il mio modo di essere giovane. Un giovane di lungo periodo che non ha paura di costruire il proprio pensiero sulla base di riflessioni complesse da ampliare nella complessità. Un giovane che prova a leggere più di quanto scrive, che ascolta più di quanto parla. Non sarà mediaticamente influente in questa epoca storica ma infondo è proprio Walt Whitman a ricordarci:

“Io sono uno che accarezza la vita ovunque vada,
che volga indietro o avanti.
Mi chino sulle nicchie appartate e i subalterni,
non trascuro un oggetto o una persona.
Tutto assorbendo in me e per questo mio canto”

Il raggiungimento, di un solo obiettivo, anche piccolo, può occupare gran parte della vita, di un giovane “tendo le mani ai giorni in boccio che saran domani” scriveva Ranier Maria Rilke mentre Pablo Picasso, scherzosamente diceva addirittura che: “Ci vuole molto tempo per diventare giovani”, aggiunge il saggio: “…una vita”.

martedì 19 ottobre 2010

Risposte nuove a problemi nuovi

Prendo spunto da una riflessione a margine dell’incontro avvenuto con il Consigliere Comunale Davide Corritore. Lo faccio provando ad analizzare un suo stato di amarezza, rispetto al simbolismo costruito da Stefano Boeri al Teatro Smeraldo. In particolare lo rivolgo alla critica che il blog “Boeri? Nein Danke!” ha mosso nei confronti dello stesso candidato, (sicuri a tal punto della critica da non aver abilitato la possibilità di commentare i post) si legge infatti: “Mentre Pisapia era a Roma in piazza affianco ai lavoratori […] Boeri faceva la convention all’americana allo Smeraldo, con i palloncini che volavano e il Piddì in versione “understatement ipocrita (senza bandiere, ma coi maggiorenti), impegnato a riempire la scala con le truppe cammellate da tutta la provincia” ecco il link: http://www.boerineindanke.org/?p=1397 .

Rimanendo fedele ad un buon vizio è mia intenzione iniziare riportando un pensiero, una sorta di profezia di Alexis de Toqueville: “una folla innumerevole di uomini uguali […]. Ognuno di essi tenendosi in disparte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri: i suoi figli e i suoi amici formano per lui tutta la specie umana; quanto agli altri suoi concittadini, egli è vicino ad essi ma non li vede; li tocca ma non li sente affatto; vive per se stesso e, se gli resta ancora una famiglia, si può dire che non ha più patria”.

Troviamo in questo pensiero la crisi dello spazio pubblico prevista nel futuro dell’uomo democratico. Pensiero attuale a tal punto che Lipovetsky, filosofo francese nel 1983, oltre cento anni dopo scrisse: “siamo diventati più sensibili alla miseria esposta dal piccolo schermo che a quella immediatamente tangibile; c’è più commiserazione per l’altro lontano che per il nostro vicino quotidiano”. Così anche nella piccola realtà locale diviene più complesso percepire la propria identità globale. In una realtà sempre più frammentata appaiono quelle che si possono definire come le “ferite della società”. Cioè quegli spazi di distanza tra mondi sociali che allontanano le diverse forme dell’agire rispetto ad una visione di reciproca utilità.

In questo solco si colloca il ruolo della politica e dei partiti. All’interno di questo schema si colloca anche il ruolo del PD che tenta di ricostruire su una base nuova e avanzata il tessuto della società italiana. I vecchi partiti e le loro vecchie ricette si scontrano oggi con le nuove realtà e la stessa dimensione programmatica tipica dei “Cartel Party”, nati negli anni ’80 in tutta Europa, ultimo grado dell’evoluzione politica dei partiti viene superata mentre nascono nuove esigenze.

Tutto questo declina verso quanto analizzato dal Sociologo Alessandro Pizzorno nel 2002, quando parla di classe pubblico-privata con il delicato compito di rendere possibile in questa società complessa il formarsi di relazioni di fiducia attraverso la produzione di sapere e interconnettività. In questo modo si viene a configurare un diverso modello della dimensione pubblica: “Ciò costituisce aree di relazioni di fiducia, di produzione di reputazione che tendono a rimpiazzare quelle situazioni che caratterizzavano le società localistiche. […] Dall’interno di questa classe si vanno a occupare le posizioni di controllo politico dell’economia, si giudicano le decisioni politiche e si propongono possibili alternative”. In ultima analisi si può dire che questa classe si inserisce negli ambiti scoperti dall’azione istituzionale e immagina risposte nuove a problemi nuovi.

Sabato, al teatro Smeraldo abbiamo assistito esattamente a questo. Un momento di avvicinamento della nuova classe pubblico-privata della nostra città attraverso la sua rappresentazione più simbolica. Un processo delicato, come lo sbocciare di una gemma, a cui giustamente non sono stati calati simboli di Partito, proprio perché in questa fase il ruolo di un Partito come il PD è altro rispetto a quello di “notaio che appone timbri”. Come non sono stati calati simboli di Partito alla manifestazione FIOM-CGIL, pur senza negare la nostra alta partecipazione, per le ragioni che spiegavo nel precedente post. Anche in questo caso il PD si è fatto portatore di interessi generali. Per parafrasare le parole di Gianni Cuperlo: il nostro messaggio non deve limitarsi a fare l’inquadratura ma deve tenere insieme la proiezione del film. Un film che Boeri sta girando nei luoghi della nostra città e nel quale il PD si riconosce molto bene.