mercoledì 24 novembre 2010

Domande inedite

I moderni sociologi leggono la situazione di crisi attuale caratterizzata da un maggiore grado di pluralismo (la cui degenerazione può essere verificata nel personalismo dell’azione politica) e di libertà (osservabile nella proliferazione incontrollata di forme di populismo e di qualunquismo che sfruttano gli istinti meno nobili che attraversano le opinioni pubbliche contemporanee). Il sintomo evidente è la perdita di ogni riferimento collettivo. Questo processo si verifica in uno scollamento tra istituzioni ed esperienza soggettiva indebolendo un comune ancoramento culturale. E’ la base della crisi sociale in atto.

Ora, non solo la creazione della propria identità avviene sempre più slegata dal contesto territoriale in cui si vive (la sensazione è che le decisioni vengano prese altrove; in luoghi – non luoghi nuovi rispetto al tradizione sistema istituzionale. In un certo senso essi scavalcano anche il ruolo stesso di stato weberiano, che diventa minuscolo). La questione locale viene percepita come una questione ormai sorpassata, con scarso interesse, la dimostrazione è nella diffusione sempre maggiore di tecnologie di comunicazione legate alla rete che spostano lo spazio da localizzato a globalizzato (naturale evoluzione dell’ampio concetto di globalizzazione).

Si realizza il “diritto alla recinzione” che, come scrive Zanini, “consente di tirarsi fuori da un territorio, di isolarsi rispetto ad un tutto, segregandosi in un proprio spazio idealizzato. […] In altre parole, tirarsi fuori da una comunità, intesa come unità, sia essa la nazione o la città per costruire un’altra comunità che la sostituisca, rimanendo sospesa nella regola”. Ciò alimenta il desiderio di auto segregazione, in un delirio di autoreferenzialità, che uccide il sociale prima ancora che il politico. Ecco quindi la nascita della mancanza di un'ancora culturale e territoriale a cui fare riferimento. Il cittadino si trova nella condizione di non leggere più il suo territorio in quanto entità reale ma interpretare quel territorio contenuto nella globalità mediatica e telematica, percepito quindi attraverso un filtro, un intermediario.

In un così complesso quadro di riferimento sociale, il cittadino, sballottato all’interno di un bombardamento di input diviene incapace di concepire un pensiero realmente autonomo e per difendersi sostiene un processo conosciuto come “categorizzazione”. I bambini, non possedendo una vasta gamma concettuale di interpretazione mettono in pratica gli stereotipi, gli adulti, confusi dagli elementi precedentemente analizzati, attuano la categorizzazione. Quanto mai dannosa alla formazione di un corretto pensiero politico-sociale, la categorizzazione dei processi entro determinati schemi, a volte dettati dalla propaganda, a sua volta derivata da regole iniziali confuse sugli obiettivi.

I programmi dei partiti, anche se scritti con cura e attenzione nei confronti delle parti sociali saltano, salta il loro significato e la loro presa sulle persone che si affidano, ancora una volta di più a complesse categorizzazioni di pezzi di realtà, in grado di creare un surrogato di presente nella quale manca una reale percezione del futuro.

Nel frattempo in cui il cittadino si smarrisce e categorizza sul piano nazionale avvengono fenomeni nuovi. Si forma ansia per un governo nazionale quotidianamente in bilico che ci sommerge con dichiarazioni a volte in contrasto tra loro. Si forma sfiducia verso il modello istituzione basato sulla rappresentanza legato alla crisi di tutti i settori sociali in atto. Si forma smarrimento dovuto alla nascita di nuove formazioni politiche e nuove alleanze. In questo nuovo scenario avviene una ulteriore, nuova, crisi, quella degli intermediari. Il giornalismo non si dimostra più all’altezza di rappresentare e interpretare la realtà in corso come avveniva nel passato. Manca la capacità di sintesi e sempre più i media incollano tra loro dieci secondi di Bersani, cinque di Di Pietro e venti di Capezzone, estrapolando, a seconda del messaggio che vuole essere comunicato il pensiero più appetibile. Sarà poi compito dei cittadini interpretarlo ed inserirlo nelle proprie categorizzazioni. Ulrich Beck scrive: “La politica non è più fatta dal sistema politico ma dalla scienza, dall’economia, dalla tecnologia”. Oggi si ritorna alle origini di un nuovo sistema politico, tutto da scrivere. Questo ci permette di comprendere come anche i partiti, in quanto intermediari, vengono travolti dalla crisi in corso.

Ecco che anche all’interno del PD si formano idee diverse sulla sua collocazione rispetto allo scacchiere politico sia locale, sia nazionale. Proliferano i protagonismi, che interpretano, ognuno secondo il proprio modello di riferimento la crisi in atto e ognuno, prova a dare una soluzione. In questo si collocano le visioni contrastanti emerse in questi mesi, da Civati a Chiamparino, da Garavaglia a Penati. Terzo polo si, terzo polo no. Lista civica si, lista civica no. Cattolici si, cattolici no. In questo si inserisce quel dibattito sul futuro del Partito Democratico all’interno del quale non mi dilungo ora poiché voglio affidarlo al futuro (questo è lo spirito del Post).

Questa evoluzione ci mostra una nuova tappa dell'evoluzione della "forma-partito" teorizzata dai politologi. Le pressioni istituzionali sono sempre più affidate agli agglomerati della società civile e alle sue forme di comunicazione e mediazione. Macchine come i partiti, se si dimostrano incapaci di modificare la loro azione all’interno di un contesto di rinnovamento culturale, rispetto ad un sentire comune, finiscono quindi per assomigliare a lenti carrozzoni, in una realtà rapida dove vince la capacità di dare voce a nuove categorie sociali. Sempre più i nuovi agglomerati incidono, propongono, aggregano superando completamente la macchina partito che viene esclusa trasformandosi in una sorta di corpo estraneo, da rigettare. In questo contesto è importante non danneggiare i protagonisti di queste primarie per quello che potranno rappresentare in questa campagna di coinvolgimento.

ll PD è nato per cercare risposte a domande in parte inedite e per inserirsi e risanare quei rapporti sociali lacerati da anni di berlusconismo. Ora, tanto più deboli e precarie sono le fondamenta della nostra Democrazia tanto più siamo responsabilizzati a costruire un grande partito rivolto alle nuove, silenziose, categorie sociali per abbattere i luoghi comuni e gli schematismi del ragionamento collettivo e ridare voce ai, sempre più distanti, agglomerati sociali. Lo dobbiamo fare nella duplice direzione a cui la politica ci chiama ad agire: fare rete e restituire un obiettivo comune. Guardiamo quindi a una Milano e a un’Italia nuova, solidale, condivisa, comprendente, inclusiva e partecipata. Guardiamola nel solco del Globalocalismo come antidoto allo smarrimento sopra analizzato.

mercoledì 3 novembre 2010

Chi semina vento...

Sono preoccupato. In modo particolare per i ragazzi della mia generazione. A loro dedico questa riflessione. Per loro che da questa situazione possono solo maturare altro disprezzo verso la politica. Disprezzo sia verso la “Policy”, ovvero verso il problema del governo, cioè di quella costellazione di decisioni riferite ai problemi della comunità, sia verso la “Politics” ovvero verso il problema legato all’”architettura” del potere istituzionale e al suo funzionamento. Entrambe messe a dura prova dalla caparbietà di alcuni nostri governanti che non riescono a trasmettere ad una generazione evidentemente in crisi (non solo economica), affamata di futuro, nemmeno il senso del domani chiudendolo ancora all’interno di categorie e slogan appartenenti al passato.

Ha ragione Ulirich Beck quando scrive, a proposito dei giovani, spesso erroneamente accusati di essere indifferenti alla politica, che essi: “odiano i formalismi delle organizzazioni e il loro modello di impegno costruito sull’imperativo del sacrificio della singola individualità […]. Non abbiamo a che fare con una caduta dei valori, ma con un conflitto tra valori, tra due concezioni diverse per stile e per contenuto, della società, della democrazia e della politica”. L’individuo contemporaneo, per la sua naturale caratteristica di ribellione legata alla sfiducia, cerca quindi di impegnarsi “laddove è possibile rimanere soggetti della propria azione”.

La sfida con cui il PD è nato è, tra le tante, quella di riuscire a realizzare un passaggio chiaro all’interno di quelle “due concezioni della società” contenute in Beck e che porta al disprezzo verso forme di democrazia come i partiti. Ovvero a partire da quella che Piaget, già nel 1957, chiamava “Morale eteronoma” (caratterizzata dal fatto che le nozioni di giusto e ingiusto si identificano con le nozioni di dovere e disobbedienza) ad una “morale autonoma” (basata sulle capacità personali di giudizio e di valutazione dei contesti relazionali e situazionali) per dirla con Honneth “stimare qualcuno come persona consiste in primo luogo nel fatto che la stima non sta nell’applicazione di norme universali ma nella valutazione differenziata di capacità e qualità concrete”.

Magatti infatti ci ricorda che “è necessario riportare l’istanza individualistica, che è alla base della crisi della modernità societaria, verso una prospettiva maggiormente capace di riconoscere il significato delle istituzioni sociali. La sfida è quella di riuscire a non disattendere la richiesta di legare ad un livello più alto la propria vicenda personale con quanto accade attorno, richiesta che costituisce uno dei nodi più cruciali e problematici della vita sociale contemporanea.

Non sono parole semplici, il carico affidato alla politica è enorme ed è innanzitutto quello di riuscire a leggere la vita sociale con nuove categorie dinamiche. Solo in questo modo questa politica potrà tornare a parlare di futuro ai giovani.

Mentre c’è bisogno di tutto questo assistiamo, ogni giorno di più, alla caduta di un governo posto sotto assedio dal suo stesso presidente incapace persino di esprimersi con rispetto verso il Paese. Un grande Vittorio Foa, rivolgendosi ai giovani diceva che “il degrado della politica e delle sue parole sta proprio nell’agire pensando di essere soli e nel pensare solo a se stessi”. Abbiamo lentamente assistito alla scomparsa dell’interlocutore e la politica è oggi il patto che lo stesso Foa definiva “tra governi e governanti”.

Ecco l’altra sfida con cui questo PD si consolida nel Paese, quella di rompere questo patto e restituire la collettività all’individuo, anche nella politica. Di ricostruire cioè quel tessuto basato sul legame con l’altro sociale, provando a superare l’odio di Beck verso le istituzioni non lasciandolo sulle spalle della società civile.

Chi semina vento raccoglie tempesta, cita la Bibbia nel libro di Osea, 8,7. Neruda lo scriveva nella poesia “Spiego alcune cose” di cui vi ho riportato i versi. Essi rappresentano il pensiero di Osea e rendono il clima politico di questi giorni, per un giovane, insicuro e impaurito.

[…]
Vi racconterò tutto ciò che mi accade.
Io vivevo in un quartiere
di Madrid, con campane,
con orologi e con alberi.

Di là si vedeva
il volto secco di Castiglia,
simile ad un oceano di cuoio.

La mia casa era detta
la casa dei fiori, perché da tutti gli angoli
scoppiavano gerani:
era una bella casa,
con tanti cani e bambini.

Raul, Ti ricordi?
Ti ricordi, Rafael?
Federico, ti ricordi,
ora sotto la terra,
ti ricordi della mia casa con balconi
dove la luce di giugno soffocava di fiori la tua bocca?
Fratello, fratello!

Tutto
era alte voci, sale delle merci,
mucchi di pane palpitante,
mercati del mio rione di Argüelles, con la sua statua
come un pallido calamaio tra i merluzzi:
l'olio colava sui cucchiai,
un profondo battito
di mani e piedi riempiva le vie,
metri, litri, essenza
sottile della vita,
pesce ammassato,
intreccio di tetti con freddo sole
nel quale la saetta s'affatica,
delirante e fino avorio delle patate,
pomodori ripetuti fino al mare.

E infine una mattina tutto divampava
e una mattina i fuochi
uscivano dalla terra
divorando persone,
e da allora fuoco,
da allora spari,
e da allora sangue.
Banditi con aeroplani e con mori,
banditi con anelli e duchesse,
banditi con neri frati in atto di benedire
venivano dal cielo a uccidere bambini,
e per le strade il sangue dei bambini
correva semplice, come sangue di bambini.

Sciacalli che lo stesso sciacallo schiferebbe,
pietre che il cardo secco morderebbe sputando,
vipere che le vipere odierebbero!

Davanti a voi ho visto il sangue
di Spagna sollevarsi
per affogarvi in una sola ondata
D’orgoglio e di coltelli!

Generali
traditori:
guardate la mia casa morta,
guardata la Spagna lacerata:
eppure, da ogni casa morta sgorga un metallo di fuoco
anzichè fiori,
eppure da ogni cavità della Spagna
spunta la Spagna,
da ogni bambino morto sprizza un fucile con occhi,
da ogni delitto nascono proiettili
che un giorno troveranno il punto
del vostro cuore.

Voi mi chiederete: perché la tua poesia
non ci parla del sogno, delle foglie,
dei grandi vulcani del tuo paese natio?

Venite a vedere il sangue per le strade,
venite a vedere
il sangue per le strade,
venite a vedere il sangue
per le strade!”

Sono in molti a chiedere ai partiti delle opposizioni “perché non parlate di sogni, di foglie, di grandi vulcani o del paese natio?”. Venite a vedere i danni di questo governo nel cuore delle giovani generazioni. Abbiamo bisogno di un grande sforzo collettivo per tornare a parlare a loro, con loro, di loro, per loro. Ecco il nostro lavoro, ecco il lavoro di un grande partito riformista.